Cortile a Cleopatra by Fausta Cialente

Cortile a Cleopatra by Fausta Cialente

autore:Fausta Cialente [Cialente, Fausta]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Fiction, General
ISBN: 9788884904850
Google: GTlivgAACAAJ
editore: La Tartaruga
pubblicato: 2004-06-15T17:45:35+00:00


PARTE TERZA

La bottega del pellicciaio

Beatrice s’ammalò verso la metà di settembre. Abramino raccontava sogghignando: «Sapete, una terribil tosse l’esil petto le scuote», ma non era vero. Beatrice aveva frignato un’intera notte sull’albero, con grande disperazione di Haiganúsh, il mattino Polissena l’aveva sciolta dalla catena ed era andata a bussare all’uscio di Marco tenendola sulle braccia, silenziosa e languida. Marco credette che soffrisse di coliche, l’avviluppò in lane calde e cercò di nutrirla con pappe di farina e tamarindo, ma Beatrice si rifiutava di mangiare, beveva scodelle intere d’acqua e seguiva con gli occhi stanchi ma attenti le corse degli scarafaggi che vengono fuori la sera; poi, per qualche notte dormì ai piedi del letto di Marco, dentro un fagotto di stracci da cui non usciva che la testolina rotonda con quel visetto nerastro e malinconico. Quando Marco passava essa allungava il braccio magro e gli dava la manina scura, gli prendeva le dita e poi le lasciava ricadere ad una ad una. Quando fu guarita, le costruì una specie di gabbia vicino alla palizzata, al riparo dal vento, dove poteva dormire la notte; poi che il vento, la sera, diventava già fresco.

Poco dopo l’alba i soldati inglesi si esercitavano ai tiri nei terreni di Mustàfa verso il mare e gli spari svegliavano la gente del cortile. Le tortorelle, le quaglie di passo giravano al largo e per cacciarle bisognava andare verso il deserto di Mariút o sulla strada del Cairo, là dove gli alti pennacchi dei dattolieri, i canali e i cespugli le attirano a posarsi. Francesco durante settembre andò a caccia sovente e venne tardi al lavoro; a mezza mattina, sul marciapiede caldo di sole, davanti alla bottega i cacciatori vuotavano i carnieri di mazzi di quaglie scure e punteggiate, così leggere dopo morte, e mazzi di tortorelle azzurre e bigie che colavano ancora fredde gocce di sangue.

Marco riconosceva anche quella stagione e stava per dimenticare l’autunno europeo. Se ne ricordava solamente quando il vento portava giù le grandi nuvole nere che passavano senza piovere, ingoiate dal celeste sud. Aveva domandato al pellicciaio di lasciarlo lavorare da Francesco ancora due mesi, poi che, pensava, sarebbe stato meno triste cominciare durante l’inverno a lavorare in città, quella città che dal mare di Cleopatra vedeva sull’orizzonte, bassa compatta e grigia sotto un cielo crudo.

Fingeva, con quelli del cortile, di lavorare molto, ritornava tardi la sera, qualche volta non ritornava a mezzogiorno, e invece la verità era che lavorava sempre meno. Francesco non gli rimproverava la sua svogliatezza; discorrevano come due amici di tante cose, ma se parlavano del nuovo e prossimo lavoro che aspettava Marco, anche Francesco ne parlava come se Marco dovesse entrare in prigione.

La sera sedevano ancora tutti in mezzo al cortile, sotto il fico, tutti meno Spiro che rimaneva dentro vicino alla finestra, un vetro aperto ed uno chiuso, e qualche volta di là interveniva nella conversazione con una voce roca che faceva trasalire Katina; poi che nell’oscurità lei non lo vedeva più e credeva sempre ch’egli avesse finito per addormentarsi.



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